Bentrovati nuovamente su Gacha / Letter, stavolta con regolarità (più o meno). Sono state settimane concitate per il settore del giornalismo videoludico e sinceramente sono contento di avere uno spazio totalmente fuori dalle logiche di quei discorsi per poter parlare di temi che vanno oltre le tendenze, sperando possa esserlo anche per voi che mi leggete.
Oggi continuiamo, per così dire, il discorso della scorsa puntata nei riguardi dei titoli regolari che utilizzano i Gacha a loro interno, solo che a questo giro parliamo forse di una genesi che per lo più viene ignorata anche dagli amanti del genere: quella degli MMORPG.
Vite digitali
L’origine nipponica dei gachapon è senza dubbio il punto fermo da cui l’influenza digitale dei Gacha è partita culturalmente, come ormai assodato. Tuttavia queste macchine della fortuna sono presenti dall’alba dei tempi tra le vie più in vista dei distretti commerciali e datarle esattamente è secondo me anche abbastanza difficile. Il consenso vuole che la loro creazione sia dovuta a Ryuzo Shigeta nel 1960 e che poi il successo commerciale sia arrivato solo con Bandai nel 1977 che, ancora attualmente, detiene il marchio del nome “Gachapon”.
Nei videogame giapponesi questa storia può essere tracciata in diverse maniere, partendo dai nemici ispirati come quello di Mega Man 4 fino a veri e propri minigiochi, ad esempio la macchinetta presente su Shenmue per Dreamcast. Tuttavia credo che nella prospettiva dei giorni d’oggi è necessario concentrarsi sui fattori che rendono i Gacha tali, ormai evoluti ben oltre la forma a sfera e la plastica, bensì come semplice sistema di acquisto. Perciò, quelli a cui dobbiamo guardare come primi indiziati di questa trasformazione sono proprio gli MMORPG, i quali non solo sono la forma più pura del gacha attuale, ma anche i genitori delle occidentali LootBox. Ma andiamo con ordine.
Ci sono tante influenze quando si guarda agli MMORPG, perciò è molto probabile che ci siano esempi di cui neanche io sono a conoscenza e che sono rimasti confinati in patria per chissà quanto tempo. Di quelle che sono arrivate anche da noi, e che incidentalmente sono stati tra i primi, tenderei a sottolineare l’importanza di Maple Story e Mabinogi: due giochi multiplayer massivi che andavano molto forte nei primi anni 2000, ben 10 anni prima che l’ondata dei Gacha come li conosciamo oggi iniziasse sul serio. Maple Story infatti utilizza ancora oggi un sistema di acquisto per dei biglietti da utilizzare in un gacha per ottenere un singolo oggetto d’equipaggiamento, mentre Mabinogi permette di acquistare dei Forzieri (e qui sta la parentela con le LootBox) con all’interno degli oggetti bonus garantiti e un singolo oggetto d’equipaggiamento casuale tra una specifica selezione.
Mi soffermo sul caso di Mabinogi perché è quello principale che verrà ripreso nel corso del tempo da tanti altri giochi massivi online, passando alla storia come la tradizione gacha per quanto riguarda questa corrente. Sostanzialmente il gioco si divide in due parti quando si parla di equipaggiamento: quello funzionale presente nel bottino lasciato da nemici, missioni o altre fonti e quello estetico, ottenuto con valute particolari spesso associate a soldi reali. Quest’ultimo non ha una funzione in gioco se non quella di personalizzare il proprio alter ego con oggetti speciali altrimenti irreperibili con mezzi previsti dal design.
Chi però gioca ai titoli massivi sa bene quanto il look sia un aspetto influente nella psicologia di chi abita questi spazi virtuali, esattamente come il proprio stile personale diventa una questione rilevante quando usciamo di casa. Il fattore casualità dei Gacha, in questo contesto, non è solo una questione di ottenimento del desiderio in questione. Riprendendo Genshin Impact, ottenere un determinato personaggio ci permette di avere un vantaggio in termini di gameplay e ci viene presentato come un elemento della nostra squadra, un qualcosa che possiamo vivere solo noi con l’unica eccezione delle missioni in cooperativa. Oltre a mostrarlo sui social, non c’è un valore per tutti quelli che ci circondano e al massimo siamo partecipi della ricerca collettiva che ci fa pensare di essere “fortunati” in quel frangente.
Dolce & Gacha-na
Mabinogi, come altri MMO evidenziati, è invece un’esperienza diversa di vivere un Gacha. Non si tratta di avere un vantaggio concreto nella propria partita – se si escludono pozioni e bonus vari – o di aggiungere armi al proprio arsenale, piuttosto è un Gacha che ha senso solo nel contesto collettivo perché vi permette di identificarvi dalla massa. Sfruttando l’idea alla base dell’alter-ego con cui passate ore e ore, fornirvi dei costumi che consentono di esprimere il proprio io dietro un sistema a pagamento vi induce a spendere, specie se è un titolo gratuito. Potreste essere restii a farlo, del resto non c’è alcun vantaggio no? Se non vi interessa nulla dell’outfit siete al sicuro, giusto? Sbagliato.
Xenoblade Chronicles 2 ci ha insegnato che la popolarità di determinate Blade arriva nel momento in cui sui social vengono condivisi i risultati dei propri tentativi nell’evocazione dai Nuclei. Genshin Impact ci fonda un intero social su questo concetto e l’ottenimento dei personaggi invade Facebook e Instagram a ogni cambio di banner. Ma nei primi 2000 non c’erano i social a far da sfondo costante e perciò le comunità vivevano all’interno dei progetti dedicati.
Ciò significa che la pubblicazione di un banner di nuovi oggetti in un MMO diventava qualcosa ben oltre l’esperienza personale: era uno sforzo collettivo, un vedere costantemente persone che avevano ottenuto quel pezzo che tanto volevamo e che adesso sfoggiavano lo stile che avremo voluto dare al nostro personaggio. E così facendo ci si abbandona a qualche tentativo nella speranza di spendere il meno possibile, ma se non si ottiene ciò che si vuole si rientra nel meccanismo di spesa compulsiva tipico del genere. Qui però è rafforzato dalla costante presenza dei modelli degli altri personaggi, un meccanismo di gelosia anche abbastanza tossico ma che funziona a livello di introiti.
Oltre a Mabinogi questo genere di soluzioni è stato adottato da altri titoli, come ad esempio Tower of Druaga: The Recovery of Babylim, Shin Megami Tensei: Imagine e il futuro Blue Protocol. Nel corso del tempo si è optato per mitigare questo effetto fornendo anche un negozio dove poter acquistare i specifici capi a prezzi ovviamente superiori rispetto ai tentativi casuali, che è già comunque una scappatoia psicologica importante. Tuttavia è grazie a tale sistema, sperimentato nei primi anni del 2000, che oggi esistono le LootBox nell’ecosistema dei titoli free to play online. The Elder Scrolls Online, ad esempio, ha le Crown Crates che permettono di ottenere 5/6 oggetti casuali tra una lunga serie di elementi cosmetici ma solo di recente ha dato la possibilità di ottenere una valuta gratuita per acquistare alcuni capi selezionati. Overwatch ha avuto lo stesso identico meccanismo e Blue Protocol, per quanto ne sappiamo, invece conterrà un po’ tutti i sistemi di monetizzazione.
Ancora oggi Mabinogi è attivissimo con una comunità indipendente da qualunque cosa, lo stesso si potrebbe dire di Maple Story, Vindictus e altri che hanno abbracciato questo sistema. Addirittura Mabinogi è stato d’ispirazione per l’anime Recovery of an MMO Junkie che ha un episodio dedicato proprio a quello di cui abbiamo parlato oggi. E se Mabinogi è attivo dopo tutto questo tempo, secondo le leggi dei gacha vuol dire che gli introiti guadagnati da questi sistemi sono ancora abbastanza alti da giustificare il suo supporto vitale. Sicuramente qualcosa che ci fa riflettere sull’efficacia psicologica di tali sistemi e su quanto ancora avranno presa nelle nostre vite virtuali da MMO.
Le novità dal Gacha-verso
Sto ancora lavorando a come introdurre graficamente questo spazio ma, ecco le notizie della settimana sotto nota audio: PGR arriva su PC, Genshin Impact silura un doppiatore e collaborazioni varie.
Figata la parte audio, forse la metterei subito